Croce e delizia di ogni disoccupato, il tempo è la presenza più ingombrante di chi si ritrova senza lavoro. E’ talmente tanto che addirittura non si riesce a gestirlo, e alla fine lo si butta.
Che sciagura, buttare il tempo.
Il meccanismo perverso della disoccupazione ci fa sentire così fuor d’acqua che arriviamo a pensare di non meritare nemmeno il tempo libero di cui disponiamo. Il senso di colpa è un frastuono continuo, incessante, che puntualmente torna a farsi sentire non appena ci si concede un po’ di tregua dal sentirsi disadattati.
Non tutti reagiscono così, sia chiaro. Io sì.
Dovrei chiedere i danni alla disoccupazione. Così poi camperei di rendita.
Ma il tempo libero di noi disoccupati è veramente libero? E’, probabilmente, un tempo libero da, ma non libero di. Vale a dire: non c’è un datore di lavoro che ci sta col fiato sul collo, non abbiamo scadenze precise, ma non siamo nemmeno liberi di fare progetti, di toglierci sfizi, di non pensare.
Ognuno di noi ha storie e situazioni diverse. Io ho 28 anni, e se non avessi il supporto della famiglia e di qualche risparmio, la mia condizione sarebbe ben più preoccupante. Un padre di famiglia che perde il lavoro a 45 anni, ad esempio, si trova ad affrontare dei mostri ben più minacciosi e concreti di quelli con cui ho a che fare io. Da questo punto di vista, mi reputo abbastanza fortunato: posso atterrare ancora su un materasso.
Ma è quando anche la presenza del materasso comincia a diventare ingombrante, che il gioco si fa duro. Tutti aspiriamo all’indipendenza, all’autonomia, alla realizzazione. E vedersela negata, o comunque resa molto complicata, da fattori esterni non del tutto controllabili, è fonte di enorme frustrazione. La famiglia diventa un ambiente soffocante, per quanto protettivo, proprio perché ti mette quotidianamente davanti agli occhi quello che non hai costruito tu.
Buttati, ché è morbido.
Ma Babbo Natale non esiste.