E’ da un po’ che mi chiedo se frequentare persone nella mia stessa condizione mi faccia bene o meno.
Tendenzialmente cerchiamo gente che abbia qualcosa in comune con noi, ed evitiamo chi avvertiamo distante per interessi e prospettive.
Inevitabilmente, dunque, quando mi confronto con altri disoccupati, mi sento a casa, compreso, mentre nelle conversazioni con chi ha un lavoro provo un certo disagio.
Ma focalizzarsi (trasformarsi in foca) solo sull’aspetto professionale delle altre persone per stabilire se si abbia voglia di intrattenersi con esse è controproducente, oltre che abbastanza infantile.
Si finisce, infatti, col dare sempre più importanza a questo aspetto della vita, assurgendolo addirittura a criterio di selezione delle amicizie.
Della serie: se sei disoccupato mi stai simpatico, se hai un lavoro sei una m***a.
E’ chiaramente un cortocircuito, un ragionamento ossessivo, una mera oggettivazione delle nostre paure: una gigantesca idiozia.
Nel momento in cui afferreremo il concetto che NOI NON SIAMO IL NOSTRO LAVORO, e NOI NON SIAMO NEMMENO IL NOSTRO NON-LAVORO, acquisiremo la tranquillità di confrontarci liberamente con chiunque, senza identificarci con la disoccupazione sentendoci falliti e andandoci a cercare amicizie “comode” e “protettive”.
Ora vi saluto, ho appuntamento con il mio gruppo dei disoccupati anonimi.