Il paradosso di oggi è che tutti vorrebbero essere Fantozzi. O, almeno, non ci sputerebbero sopra.
Posto fisso, stipendio regolare, casa di proprietà, una dignità di fondo che condisce un’esistenza ordinaria. Di fatto, Fantozzi era questo. Chi, nella variopinta comunità dei disoccupati, non firmerebbe per tutto questo?
Se ai suoi tempi era la più cruda rappresentazione della mediocrità, oggi Fantozzi riassume tutto ciò che abbiamo perso e che, disperati come siamo, rivorremmo indietro.
La mia è, chiaramente, una provocazione.
Eppure, per quanto la prospettiva di un contratto a tempo indeterminato possa risultare attraente a chi attraversa la difficile fase della disoccupazione, credo che, una volta entrati in un meccanismo “fantozziano“, l’insoddisfazione, alla lunga, avrebbe la meglio.
Non è un caso che oggi molte persone lascino spontaneamente un posto fisso per cercare altro. Per stare bene.
Tutto questo discorso mi fa pensare.
Ok, io sono disoccupato e sto male. Ma allora perché anche chi ha un lavoro, spesso, sta male? Certo, è un male diverso. Ma pur sempre un male. Che, in sempre più casi, porta alla fuga.
Sembrerebbe esserci una gerarchia di mali:
– il male di non avere un lavoro;
– il male di avere un lavoro che non ci piace.
Stabilite voi il peggiore.
Le conseguenze sono, forse, le stesse. Quantomeno a livello di benessere (o malessere).
Forse, la nostra generazione ha sognato troppo per potersi accontentare.
E così, quando sei disoccupato sogni di essere Fantozzi. Quando sei Fantozzi sogni di essere il megadirettore. Quando sei il megadirettore sogni di essere un fashion blogger. E quando sei un fashion blogger sogni una vita senza vestiti.
Il male più grande di oggi è l’insoddisfazione.
Io sto provando a vivere la disoccupazione come l’occasione per trovare me stesso. Peccato che mandarmi il CV non servirà a nulla.
Concordo con tutto e la tua provocazione è più che azzeccata.
Da disoccupata che ero anch’io sono passata da stage, per poi subito dopo a lavoro a tempo indeterminato. Gran botta di culo e probabilmente uno dei pochi casi in cui il Jobs Act è stato usato come ci si aspettava.
Felicissima all’ennesima potenza di aver raggiunto un traguardo quasi impossibile per chi è della nostra generazione e di essermi finalmente resa indipendente (perché senza il contratto fisso nessuno ti affitta un appartamento, figuriamoci chiedere il mutuo), dopo 3 anni di lavoro, dove ogni giorno di fatto ricopro almeno 3 mansioni diverse in contemporanea e dove vedo che, concetti come innovazione, creatività e pensare in grande fanno grandissima fatica ad entrare nelle teste di chi ti circonda, inizio a sentirmi alienata da quel che faccio. Sono arrivata al punto che sono ferma a casa da un mese per malattia: quella vera, non di quelle che chiedi al medico perché non vuoi scaricarti le ferie… Son quasi guarita, ma questo periodo da sola a dovermi medicare mi ha fatto riflettere molto sulla mia attuale condizione e son sicura che non sia stato un caso che mi sia successo. Anzi, probabilmente senza la malattia sarei stata di nuovo assorbita dal solito tran tran e avrei continuato a vivere un nuovo anno fotocopia.
Da disoccupato cerchi lavoro perché senza non ti garantisci né la sopravvivenza, né l’indipendenza (e a 28 anni quest’ultima la esigi eccome!).Oggi ho imparato che, quando ce l’hai, non devi più essere disposto a sacrificare il tuo IO e le tue ambizioni perché hai paura di deludere chi ti è vicino/perdere quello che hai ottenuto/non essere più stimato dai tuoi colleghi che ti stanno simpatici (se sei abbastanza fortunato da averne) e mettici ancora quello che vuoi. Ovvio anche che la faccio ancora facile: chi ad esempio ha una famiglia a carico non può permettersi il lusso di fare certi ragionamenti. In ogni caso quando ciò che fai non si allinea più con il tuo io e i tuoi valori non sottovalutare il campanello d’allarme che sta suonando: spegni il rumore intorno a te e torna a parlare con il tuo inconscio, che spesso meglio di noi sa di cosa abbiamo realmente bisogno. Parola di chi viene spesso giudicata come troppo razionale.
Per quanto ti riguarda bellissimo blog! Scrivi molto bene, mi auguro che presto qualcuno scopra il tuo talento e ti aiuti nel tuo processo di autorealizzazione. Keep up the good work!
Cara Desert Cat (che bel nome 🙂 ), grazie per aver condiviso la tua esperienza. Credo che in queste tue parole ci sia una lezione che tutti noi, passando per le peripezie che bisogna affrontare, siamo destinati, chi prima e chi dopo, ad imparare: “spegni il rumore intorno a te e torna a parlare con il tuo inconscio, che spesso meglio di noi sa di cosa abbiamo realmente bisogno.” Anche io, che ho la tua stessa età, sto cominciando a non sottovalutare i campanelli d’allarme.
Continua ad ascoltarti. E, se scrivere ti aiuta, confrontiamoci: ildisoccupato@hotmail.com.
Un grande abbraccio
Tutto maledettamente vero
Trovo molto interessante l’idea di dedicare un blog al mondo dei disoccupati, dei cercatori di lavoro, di coloro che – giovani per lo più, ma non solo – nonostante le difficoltà non si arrendono; tutto ciò mentre le statistiche rilevano e rivelano ad ogni indagine la costante presenza dei NEET tra i giovani e degli inattivi tra gli altri. Mi piace l’idea che ci sia uno spazio tutto dedicato a questa categoria di persone, che sarebbero una risorsa enorme per la società, oltre che per se stessi, e mi piace lo stile di scrittura fresco, disinvolto, anche leggero con cui si affrontano certe tematiche che leggere non sono.
Su una cosa però devo dissentire: sulla descrizione del personaggio di Fantozzi. Il mitico ragioniere uscito dal genio creativo di Paolo Villaggio non è solo ciò che viene descritto. Certo è anche un piccolo-borghese con un lavoro stabile, uno stipendio fisso per cui oggi migliaia di persone darebbero chissà cosa, una casa di proprietà; ma è anche e soprattutto una vittima della società. Fantozzi è la rappresentazione stereotipata dell’uomo mediocre, che è tale non solo perché possiede – e non a caso utilizzo un termine come “possedere”, che esprime la visione del mondo piccolo borghese legata alla proprietà, ad un concetto economico – una vita mediocre fatta di solidi quanto grigi elementi materiali, ma perché è l’ultimo o forse il penultimo anello di una catena sociale composta da individui mediocri, imbruttiti dal contesto sociale e relazionale. Contesto sociale e relazionale che incide profondamente sulle esistenze di queste persone. Tutti i personaggi della saga di questo anti-eroe sono tanto più mediocri quanto più sono cattivi e sono tanto più cattivi quanto più ritengono di avere un minimo di potere o condizione socio-economica ed esistenziale superiore a quella degli altri. Anche lo stesso Fantozzi nel suo piccolo è cattivo, spietato con la propria famiglia, seppure lo faccia forse inconsapevolmente.
Per tali motivi non sarei propriamente d’accordo nel dire che Fantozzi «riassume tutto ciò che abbiamo perso e che, disperati come siamo, rivorremmo indietro». Credo che nessuno, potendo scegliere, accetterebbe la condizione di vita del povero Ragioniere; anche se riconosco, ovviamente, il valore strumentale del richiamo fatto come provocazione.
Ciao Roberto, grazie del commento.
Come ho scritto nell’articolo la mia è una provocazione. Fantozzi è chiaramente un modello di mediocrità, e di sicuro nessuno aspirerebbe ad essere come lui. La provocazione, tuttavia, sta proprio nel fatto che, nel deserto lavorativo di oggi, la sua condizione potrebbe persino apparire desiderabile agli occhi di un disoccupato. E’ una metafora per sottolineare l’abbassamento generale degli standard di vita e delle ambizioni personali.
Oltre al commento, colgo l’occasione per postare anche il testo di una canzone che ho scritto qualche anno fa (proprio durante il periodo più acuto della crisi) che tratta proprio della condizione di imbruttimento che vivono le persone in situazioni difficili come questa.
Due cagnacci
Due cagnacci per la strada,
due cagnacci alla deriva,
dalla bocca giù la bava
tra la gente che cammina.
Li divide a dieci passi
un bell’osso da spolpare,
gettato con disprezzo
da chi ha troppo da mangiare.
Il primo i denti bianchi
mostra all’altro, suo rivale,
che risponde con un ringhio,
non si lascia spaventare.
Si fa avanti con un salto
e lo azzanna lì alla spalla
quello che tra tutti e due
ha la bile un po’ più gialla.
La scenetta è divertente
per chi guarda dal di fuori,
cosa importa ad un passante
se ora vivi, dopo muori;
se campare è ormai pesante
o se proprio non lavori.
C’è chi aspetta qualche cosa
dalla fine della storia
tra chi avrà le ossa rotte,
chi una briciola di gloria.
Cosa fa lo scopritore
di talenti lì vicino?
Si proclama lui il padrone
del più forte, del mastino.
E così l’impenitente
all’inizio mal voluto,
trasformato dalla gente
in una specie di rifiuto,
ora è a capo di una squadra,
non è più randagio e cupo;
lietamente a metà strada
tra un agnello ed un lupo.
Ma l’hai messa in musica poi?
Purtroppo su questo testo non sono riuscito a trovare nessuna melodia che mi convincesse, non essendo un musicista è molto più difficile farlo. Infatti mi piacerebbe trovare qualche musicista con cui collaborare.
Altri testi invece sono nati proprio come canzoni compiute.
In ogni caso, che te ne pare?
Mi piace, la immagino interpretata stile cantastorie
È esattamente lo stile musicale dei miei testi. Altri li ho musicati e ne ho fatto vere proprie canzoni, ma avrei bisogno di un musicista/compositore musicale che mi aiuti.
cerca sui gruppi facebook di musicisti, oppure su villaggiomusicale
Grazie per il suggerimento, sei molto gentile.
Mi sono appena iscritto e vediamo se sarò fortunato.