Deve essere andata così: un giorno, i vari addetti alle risorse umane del mondo si sono riuniti per cercare di risolvere il problema delle milioni di candidature non richieste che arrivavano, e hanno inventato le CANDIDATURE SPONTANEE.
Di fronte all’ennesimo tentativo di qualche folle di farsi avanti, hanno sbottato: “Vabbè oh, e allora fai come te pare. Te l’ho detto tremila volte di non rompere i coglioni. Tie’, manda sta cazzo di candidatura almeno sei contento“.
Per non parlare, poi, del messaggio automatico finale che ti arriva dopo che hai cliccato su INVIA: “Grazie! il tuo CV è stato inserito nei nostri archivi. Qualora dovessimo avere bisogno di te non esiteremo a contattarti”.
Che suona un po’ come: “Guarda, probabilmente ti prenderemmo in considerazione solo se tu fossi l’ultima persona rimasta sulla Terra, quindi mettiti il cuore in pace e magna tranquillo“.
Che poi vorrei vederli, questi famosi archivi. C’è più materiale là che nella biblioteca di Alessandria.
Eppure, ogni volta che tento la fortuna con la candidatura spontanea, sono così carico e fiducioso.
Mi sento un esploratore, un impavido marinaio, il Cristoforo Colombo del terzo millennio, l’Indiana Jones dei centri per l’impiego.
La realtà è che sembro una specie di ludopatico: “Questa è la volta buona che vinco, sono i numeri buoni, avrò fortuna“. Con lo sguardo allupato.
E il processo si ripete ogni volta.
Però attenzione, perché, come il ludopatico, in fondo, vuole perdere, così, il curriculumpatico, in fondo, non vuole trovare lavoro.
Perché? Per trovare una giustificazione esterna ai propri fallimenti: la sfiga. Il mondo è cattivo perché non vinco, il mondo è cattivo perché nessuno mi assume.
Ma, d’altra parte, anche queste sono conseguenze della disoccupazione: cominciare a vedere fantasmi ovunque, a sentirsi sbagliati e inadeguati e ad assumere atteggiamenti vittimistici.
E’ il cane che si morde la coda.
Quindi? Come uscirne? Spersonalizzando la questione. Se non troviamo lavoro non è una questione personale. Di noi non gliene frega niente a nessuno, nemmeno ci conoscono.
E’ come quando ci mettiamo venticinque ore a scrivere una email, tutta perfetta, in un italiano impeccabile, con tanto di ausilio del dizionario di sinonimi e contrari, e poi ci vediamo rispondere semplicemente “Ok“.
State tranquilli: nel mondo del lavoro nessuno ci vuole male e nessuno ci vuole bene.
Semplicemente, nessuno ci vuole.