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Anna: <>

burial-cemetery-countryside-116909Si parla spesso di settori “saturi”, c’è una convinzione diffusa che tutti vogliano fare gli stessi lavori, che la maggior parte della gente abbia gli stessi sogni.

Eppure le vostre storie mi stanno raccontando una realtà del tutto diversa: interessi trasversali, ambizioni differenti, passioni variopinte.

E prima di Anna (nome di fantasia), 28 anni, non avevo mai sentito qualcuno che desiderasse ARDENTEMENTE (gioco di parole servito su un piatto d’argento) lavorare nell’ambito delle onoranze funebri.
Confesso: quando me l’ha detto, un po’ ci sono rimasto. Ma lo stupore è durato poco: giusto il tempo di capire quanto sia importante per lei:

“In quell’ambiente mi sento a casa. So che suona molto strana come cosa ma so anche che è difficile entrarci. Mi appassiona l’idea di poter dare un contributo alle persone che soffrono per una perdita. Mettere a disposizione la mia forte empatia, mettermi alla prova in un confronto sempre più inevitabile e delicato con un evento come la morte aiuterebbe non solo me ma anche altre persone. La chiamerei proprio vocazione e sarà anche merito di tutte quelle esperienze di volontariato che ho fatto e che mi hanno avvicinata ancor di più alla condizione delle persone.”

Esperienze che, se dal punto di vista umano le hanno dato molto, da quello professionale lasciano diverse perplessità:

“Ho da poco concluso un anno di servizio civile avente come progetto l’assistenza agli anziani. Mi occupavo di accompagnamento con trasporto presso ospedali, centri medici-fisioterapici, servizio spesa a domicilio, consegna impegnative, farmaci, accompagnamento semplice, aiuto disbrigo pratiche, telefonia, lavori d’ufficio. Sono iscritta al centro per l’impiego dal 2012 e in tutti questi 6 anni non ho ancora avuto la possibilità di lavorare. Tra una cosa e l’altra sono finita a fare volontariato e basta. Fortunatamente o no, abito ancora con un genitore, altrimenti non so cosa avrei fatto.”

E anche in un settore non comune, come quello delle onoranze funebri, dove Anna vorrebbe lavorare, le difficoltà non mancano. Due fattori con cui deve quotidianamente scontrarsi sono la competitività e la discriminazione:

“Per una ragazza o donna è difficile perché è un mondo prevalentemente maschile e quelle poche donne che ci sono o sono di famiglia oppure hanno paura che le rubi il posto. Le donne possono arrivare a farsi la guerra e a scannarsi più degli uomini. Alcune sanno essere davvero tremende ed è un peccato, perché potrebbero fare molto di più per se stesse e per quelle che si trovano in una condizione che hanno conosciuto anche loro, che oggi hanno un lavoro.”

E il futuro resta un’incognita. Ma quello che mi piace di Anna, oltre alla fierezza con cui parla dei suoi sogni e dei suoi obiettivi, è la sua capacità di prendere quello che viene riconoscendone i limiti ma senza cadere nell’autocommiserazione, e , anzi, cogliendone tutto il meglio possibile, trovando la forza per costruirsi un domani:

“Per ora sono in ballo con questi incontri dedicati ai disoccupati iscritti al centro per l’impiego, ovvero partecipo a dei corsi di sostegno alla ricerca attiva del lavoro in cui ci sarà un confronto per il curriculum, simulazione di colloqui e altre cose inerenti al mondo del lavoro, ovviamente tutto gratuito. Sicuramente questi incontri mi sono molto più utili dello stare a casa giorni e giorni e rischiare di cadere nel baratro di quella depressione che ti fa pesare persino l’alzarti dal letto la mattina. Almeno incontro gente e mi confronto. C’è sempre un qualcosa di nuovo da imparare, segnali da cogliere, cose da trovare.
Poi vediamo che succede.”

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