Per celebrare il week-end che, per noi disoccupati, è tutto fuorché un’occasione per fare festa, vi propongo un REMAKE de Il sabato del villaggio di Giacomo Leopardi: Il sabato del disoccupato.
Il disoccupato vien dalla città
in sul calar del sole,
col suo fascio di curriculum; e reca in mano
un pugno di mosche,
onde, siccome suole, prendere egli si appresta
dimani, al dí di festa, porte in faccia.
Siede con le vicine
su la scala a filar la vecchierella,
incontro là dove si perde il giorno;
e novellando vien del suo buon tempo,
quando un lavoro si trovava,
ed ancor sana e snella
solea danzar la sera intra di quei
ch’ebbe colleghi nell’azienda piú bella.
Già tutta l’aria imbruna,
torna azzurro il sereno, e tornan l’ombre
giú da’ colli e da’ tetti,
allo scarseggiar di offerte dignitose.
Or la squilla dà segno
di una email che arriva;
ed a quel suon diresti
che il cor si riconforta.
I centri per l’impiego aprendo
su la piazzuola in frotta,
e qua e là tappando buchi,
fanno un servizio discutibile;
e intanto riede alla sua parca mensa,
fischiando, l’operatore del call center,
e seco pensa al dí del suo riposo.
Poi quando intorno è spenta ogni altra face,
e tutto l’altro tace,
odi il martel picchiare, odi la sega mentale
del disoccupato, che veglia
nella chiusa stanzetta alla lucerna,
e s’affretta, e s’adopra
di stare su kijiji fino al chiarir dell’alba.
Questo di sette è il più sgradito giorno,
vuoto di speme e di gioia:
diman tristezza e noia
recheran l’ore, ed all’assenza del travaglio usato
ciascuno in suo pensier farà ritorno.
Garzoncello precario,
cotesta età fiorita
è come un giorno d’allegrezza pieno,
giorno chiaro, sereno,
che precorre i tirocini di tua vita.
Godi, stagista mio; stato soave,
stagion lieta è cotesta.
Altro dirti non vo’; ma il tuo lavoro
ch’anco tardi a venir non ti sia grave.