Conosci una ragazza in uno dei rari momenti di spensieratezza che lo status di disoccupato ti concede.
“Si mette bene“, pensi.
E invece ti ritrovi come un sedicenne a cercare una location adatta agli attriti amorosi.
E ti si ammosciano pure le ossa.
Sì, perché se a 30 anni non puoi ancora esibire con sguardo ammiccante alla George Clooney la fatidica frase “Sali da me, beibi?”, senza pensare che quello che hai da offrire non è nient’altro che la tua stanzetta ormai troppo stretta corredata dalla presenza dei tuoi genitori a un muro di distanza, la libido se ne va in vacanza (rigorosamente low cost e con un solo bagaglio a mano).
Quindi, nella migliore delle ipotesi, camporella o macchina con sedili ribaltabili. Ma tanto poi i nodi verranno al pettine, quindi grazie per la bella serata e a mai più rivederci.
Questo è solo uno degli aspetti negativi di vivere ancora con i tuoi genitori.
Non il peggiore.
La sensazione più fastidiosa, infatti, è quell’apparente impossibilità di costruirsi un’indipendenza, di potersela cavare da soli, di affermare la propria voce nel mondo. Ci si sente come vittime di un handicap che si autoalimenta, perché si comincia ad identificarsi con la propria condizione di “trentennecheviveancoraconigenitoriequindifallito“.
E il rapporto con i genitori si guasta inevitabilmente. La famiglia diventa una prigione, spesso necessaria per motivi economici.
Credo che arrivi un momento in cui l’unico modo per avere un rapporto sano, positivo e disteso con la propria famiglia sia separarsi. Quando, per cause di forza maggiore, come oggi avviene in moltissimi casi, la separazione non può avvenire, sorgono inevitabilmente problemi e malumori.
Per non parlare delle “promesse della società” mai mantenute.
Quando ero al liceo mi immaginavo a 30 anni già con una carriera avviata e un’indipendenza ormai raggiunta. Oggi, che sono alla soglia di questa età, non vedo nulla di tutto ciò all’orizzonte.
E i sedili ribaltabili non bastano più.