Non è questione di titoli, di diplomi, di lauree: il vero studio comincia fuori dalle sedi teoricamente preposte ad esso.
Studiare è un approccio alla vita, non è una fase passeggera che si chiude al completamento dell’istruzione.
E se c’è una cosa su cui possiamo fare affidamento quando non si trova lavoro è lo studio: sapere oggi quello che non sapevo ieri, alimentare la curiosità, chiedersi il perché delle cose, domandarsi “come si fa?“.
Guardatevi intorno: quanto siete ignoranti? Mi basta digitare queste parole al computer per rendermi conto della mia ignoranza: com’è possibile che premendo un tasto compaia una lettera sullo schermo? Parlando in termini concreti, non lo so. Non so cosa succeda tecnicamente, non saprei replicare il fenomeno.
E quando cambio le marce in macchina, cosa accade esattamente?
Siamo padroni di oggetti che ci hanno abituato a non pensare, il cui funzionamento viene dato per scontato, di cui non conosciamo nulla.
Stesso dicasi per i fenomeni della natura, per il cibo, eccetera.
E quando da piccoli eravamo nell’età dei “perché“, spesso ci raccontavano delle baggianate colossali a cui non avrebbe creduto nemmeno un ubriaco intento a salutare asini volanti alle 6 di mattina, o magari semplicemente non venivamo presi sul serio. Ed è lì che sono nati molti problemi: è lì che è cominciata la morte della nostra curiosità.
Abbiamo cominciato a credere che alcuni saperi ci fossero preclusi.
Dobbiamo recuperare quella curiosità che tutti noi abbiamo per natura.
Ricominciare a leggere la realtà, a studiarla, a comprenderla, ci consentirà di scoprire nuovi orizzonti, di diventare esseri umani migliori e, conseguentemente, anche più appetibili per il mercato del lavoro.