Nel carnevale della vita siamo sempre pronti a indossare una nuova maschera: quella del figlio, quella del fidanzato, quella della moglie, quella del direttore, quella del sottoposto, quella del timido, quella del coraggioso, e così via.
In pratica, ci identifichiamo con il ruolo che interpretiamo in un determinato contesto.
E non perché siamo un esercito di mentalmente instabili (o forse sì), ma perché dentro di noi convivono varie nature che definiscono la nostra personalità e, a seconda del momento, viene messa in evidenza una o l’altra.
Quando non troviamo lavoro e ci appiccichiamo addosso il tag “disoccupato“, finiamo con l’identificarci con questo marchio e con tutto ciò che ne consegue: pessimo umore, scarsa voglia di ridere, pigrizia, pessimismo, negatività.
Insomma, la maschera del disoccupato è una delle più brutte del carnevale, e dobbiamo trovare le forze per toglierle un po’ del potere che ci ruba.
Siamo disoccupati, ma non dobbiamo fare i disoccupati.
Questo significa fissare degli obiettivi nelle nostre giornate, uscire di casa, darci delle scadenze, stabilire tabelle di marcia, impegnarci attivamente in qualcosa che dia un senso quotidiano alle nostre vite.
Tempo fa, tra il serio e il faceto, dicevo: “La ricerca del lavoro non è essa stessa un lavoro?“. Ed è veramente così, o almeno è così che dovremmo prenderla.
Il peso più gravoso per i disoccupati è, oltre al lato economico, quello dell’esclusione sociale: non avere un lavoro può essere causa di un isolamento progressivo.
Contrastare questa tendenza non solo è possibile, ma necessario: se vogliamo leggere dei libri, non facciamolo a casa, ma andiamo in una biblioteca; se vogliamo scandagliare internet alla ricerca di un lavoro o di opportunità di formazione, prendiamo il computer e andiamo in un caffè che abbia il wi-fi.
Immergiamoci nel mondo.
Queste sono semplici mosse a costo zero che ci faranno sentire più inseriti nella società, impegnati, vivi.