Già immagino la vostra faccia.
Mandibole slogate dallo stupore, occhi sgranati e peli dritti per l’indignazione.
Eppure è così, succede anche questo.
Un mio conoscente ha recentemente trovato un lavoro a tempo indeterminato.
Fino a poco tempo fa era disoccupato, scoraggiato, incazzato, e tutto quello che già sappiamo.
Poi, una mattina, la botta di culo insperata: il posto fisso.
Le sensazioni di un (ex) disoccupato che trova il posto fisso sono sintetizzabili in una semplice frase:
“Ah, tutto qui?”
Tutto qui. Quel tutto che fino a un secondo prima della fatidica telefonata era la vera ragione di ogni cosa, dell’infelicità, delle delusioni d’amore, dell’inappetenza, dell’insonnia, del vomito del gatto, del brufolo sul naso, dell’inglese di Matteo Renzi, dei cambiamenti climatici, dei capelli di Trump, dell’unghia incarnita, del bicchiere sempre mezzo vuoto…diventa semplicemente un tutto qui.
Basta un avverbio di luogo per trasformare le pretese di universalità in uno sguardo di disillusione.
Tutto qui.
Sì perché il lavoro che ha trovato non è il lavoro dei suoi sogni, non è qualcosa per cui ha studiato, non rappresenta niente per lui. “Solo” uno stipendio.
E’ come sposare una donna che non ami perché non hai trovato di meglio. O perché hai paura di rimanere solo per tutta la vita. Alla fine impari a conviverci, lei non è poi così male.
Solo che non scopate da anni.
E allora l’entusiasmo del bacio della dea bendata è durato il tempo di realizzare che non c’era più la possibilità di sognare.
Tutti noi, oggi, qui, ora, firmeremmo col sangue per avere un contratto a tempo indeterminato. Non provate a negare. E anche il mio conoscente avrebbe firmato col sangue. E infatti ha firmato.
Ma non è felice. E, comunque, non sarà il lavoro a renderlo felice.
Questo episodio mi ha insegnato a ridimensionare le aspettative che inevitabilmente ho rispetto al lavoro, generate dalla sua mancanza.
Quando non hai un lavoro pensi che il lavoro sia tutto. Quando ce l’hai e non ti piace, ti spegni e, a volte, ti ammali.
Che in tutto questo ci sia anche lo zampino dell’incontentabilità umana è indubbio.
Ma non facciamoci accecare dalla fame di un lavoro qualsiasi. Perché, una volta sfamati, andremo sempre alla ricerca del nostro piatto preferito.